Il reliquiario di San Cassiano di Imola

Il reliquiario di San Cassiano di Imola: dopo il restauro una nuova lettura

Franco Faranda

In un recente volume [1] dedicato a San Cassiano, il cui corpo è custodito nella cattedrale di Imola, ho avuto modo di presentare il più antico degli oggetti di culto legati al santo: il reliquiario del braccio (fig. 1).
In quell’occasione ho provato a sviluppare le problematiche legate alla devozione riflettendo – e confesso con meraviglia – sul fatto che quello che è per noi il più antico reperto legato alla devozione è di fatto un’opera “moderna”, preceduta da un altro analogo reliquiario e da un culto che è seguibile, praticamente senza interruzione, almeno dal 401 fino ai nostri giorni. Al 401 si data infatti il carme che il retore spagnolo Prudenzio, in viaggio verso Roma ancora “rerum maxima” [2], dedica al santo il cui corpo era già venerato in una sontuosa tomba dipinta [3]. Un santo con delle caratteristiche “speciali”, intanto per la continuità nel culto, poi perché “laico”, ucciso per la forza delle sue idee liberamente espresse e probabilmente invise a molti e a parte dei suoi stessi allievi che appartengono ad una società pagana, gelosa custode di diritti e privilegi che sentiva intaccati dal Cristianesimo. Rimando pertanto a quel testo per un esame stilistico comparativo dell’opera e colgo questa occasione per provare a rileggere il reliquiario nei dettagli. Si tratta di un reliquiario antropomorfo che poggia su una base innovativa rispetto ad analoghi oggetti. Il piede mistilineo viene messo in sordina dal disco superiore sul quale sono inserite sei formelle un tempo smaltate.

L’opera è stata sottoposta recentemente ad un completo restauro che ha consentito di esaminare anche la tecnica esecutiva e identificare i diversi materiali che la compongono. In due delle formelle, quelle che raffigurano i busti di San Cassiano e probabilmente di San Pier Crisologo, la lamina appare quasi graffita e priva dei dislivelli necessari a fermare lo smalto, presenti sulle altre formelle. Tecnicamente sembra un intaglio adattato per ospitare un niello più che uno smalto e stilisticamente sono opere più tarde, presumibilmente appartenenti al XVI secolo. Delle sei formelle in argento quattro sono sagomate come le cornici esterne e due – i due santi vescovi – sono incise su una lamina ovoidale. Queste ultime inoltre mancano di segni di assemblaggio che sono invece presenti sulle altre quattro formelle. Le formelle sagomate misurano cm 6,8 x 4,5. Le formelle ovoidali cm 6,7 x 4,6. Le formelle, stando alla descrizione che ne fa il Galli nel 1940 [4], risultavano decorate a smalto. Nel recente restauro non sono state trovate tracce di smalto e questo credo provi una voluta rimozione in una precedente manutenzione. Probabilmente lo stato estremamente lacunoso e il sollevamento degli smalti, nell’impossibilità di procedere ad un vero restauro, avrà fatto optare per questa drastica e scorretta preferenza.

Le lamine che formano il piede (fig. 2) sono tutte lavorate separatamente e successivamente saldate a spigolo vivo . La base in rame dorato è costituita da due pezzi: il piede con sei lobi e sei punte alternati i cui lati sono stati lavorati singolarmente e successivamente saldati e un disco soprastante fissato al piede attraverso la lamina ribattuta sul rovescio (fig. 3). Il disco è delimitato inferiormente da un orlo traforato a giorno (fig. 4) e superiormente termina con un plinto esagonale entro il quale si innesta il triplice fiore che regge il braccio d’argento. L’alzata è realizzata in un’unica lamina in rame dorato, decorata con motivi floreali. Al suo interno si aprono sei cornici, variamente modanate ad arco gotico. All’interno di queste cornici sono inserite le sei formelle in argento. Gli ampi intagli a giorno che ospitano le formelle hanno indebolito la lamina che presenta numerose fratture, fermate poi con dei chiodini ribattuti e mascherati con le foglie sovrapposte che fungono da raccordo tra l’alzata e il basamento. Il piede ha un diametro di cm 27,7 e il diametro interno del disco superiore misura cm 18,9. All’apice dell’alzata del piede si inserisce il braccio fermato da quattro foglie (fig. 5) tagliate da un’unica lamina in rame dorato dello spessore di mm 2, lavorata con un ferro da bulino a pettine per realizzare le nervature della foglia dorata nella parte visibile (fig. 6). Su questa foglia esterna se ne inserisce un’altra analoga e più piccola e infine il sottocoppa entro il quale poggia il braccio del santo. Il sottocoppa ha saldato esternamente un peduncolo elicoidale che si inserisce nel basamento, ed è fermato da un dado. Sul sottocoppa sono evidenti quattro fori per fermare il braccio.

Il braccio è costituito da una lamina d’argento saldata su un lato in corrispondenza dell’iscrizione posta su un nastro che ha anche lo scopo di mascherare il filo di saldatura. La lamina è fittamente lavorata con motivi floreali ad imitazione di un tessuto broccato. Il motivo è ottenuto attraverso un sottile ferro di cesello con un punzone finissimo impresso sulla lamina lucidata a specchio. Sul fianco una fila di perline d’argento, imitanti i bottoni, sono saldate su un nastro in argento dorato, fissato con dei chiodini alla lamina d’argento, posti a distanza regolare, mediamente con un intervallo di cm 3,5. Accanto a questo nastro, largo 1 centimetro è posto un altro nastro con una lunga iscrizione in caratteri gotici, purtroppo tagliata al centro per far posto alla finestra per visionare la reliquia. Anche questa fissata alla lamina principale con dei chiodini in argento, ribattuti. Larghezza della lamina cm 1. la teca è delimitata esternamente da una lamina d’argento dorato e sormontata in alto da una sagomatura triloba ad imitazione di un arco gotico. In basso il braccio presenta un bordo con la filettatura per avvitare la reliquia posta all’interno di questo contenitore. Il braccio dal bordo inferiore esterno all’attaccatura del polso misura cm 40. La teca centrale è ricoperta da un vetro soffiato. La lamina tagliata ha prodotto un varco di cm 7,5 – 8 x 14 (h). La mano è inserita ad incastro entro il polso (fig. 7) e fissata con una barra d’argento trasversale, visibile dall’interno. É realizzata in lamina sbalzata in argento. Le dita sono inserite entro il palmo formato da due lamine saldate lateralmente. Sulla mano sono incastrati due anelli con delle false pietre in pasta di vetro. Uno dei due, con un falso zaffiro (fig. 8), presenta una caratteristica montatura in oro a quattro petali ed ha il gambo costituito da due lamine d’oro saldate in senso longitudinale. Sui due lati del gambo le seguenti iscrizioni: “Verbum CaroF. E.” e “Respize Finem”. Analoghi anelli si conservano a Cesena, sulla mano del reliquiario di San Gregorio Magno.

Accanto alla lunga bottoniera (fig. 9), in una lastra dorata inchiodata alla lamina, è inserita la seguente iscrizione in caratteri gotici: “Hoc est Brachium Sancti Cassiani Martyris” e “Michael Porcelli fecit fieri hanc manum” Queste iscrizioni erano già note agli studiosi imolesi. Sulla lamina interna, quella che custodisce la reliquia, abbiamo potuto leggere per la prima volta un’altra iscrizione: “os brachium Sancti Cassiani” (fig. 10). Il motivo decorativo lungo il braccio (fig. 11) è impresso su una lastra d’argento dello spessore di mm. 0,7. L’elemento ornamentale muove da un nucleo centrale, costituito da una pigna delimitata, lateralmente, da due tralci con petali, inscritta in una cornice a cuore a sua volta circondata da un’altra cornice, più ampia che riprende la decorazione dei petali del nucleo centrale. Interessanti sono soprattutto questi esili e mobilissimi tralci, alle volte svirgolanti verso i terminali, consapevoli della libertà interpretativa cara al gotico internazionale. Rilevante il contrasto tra questo motivo che accarezza la lamina e la spessa foglia in rame dorato che avvolge la parte inferiore del braccio. Il motivo decorativo trova ampio riscontro negli abiti che, nella fase matura della sua produzione, interessano le opere di Simone dei Crocefissi. Il riscontro speculare si ha con il disegno che decora il mantello nella Madonna con Bambino della Pinacoteca Nazionale di Bologna. Un confronto particolarmente puntuale anche per l’analogo sviluppo verticale della decorazione che, nel reliquiario, si arricchisce di più mobili svirgolature nei terminali, e mostra di conoscere le ulteriori evoluzioni del tema fino a raggiungere quasi l’imitazione dei motivi impressi sulla foglia d’oro del polittico di Giovanni da Bologna custodito nella Pinacoteca di Bologna (fig. 12). Spaziare dalla pittura all’oreficeria non è vano esercizio pseudo intellettuale, ma consapevolezza della trasmissione di modelli e dell’osmosi tra le arti che ancora caratterizza lo scorcio del XIV secolo o i primi anni del successivo a cui il reliquiario appartiene. Il confronto con altri reliquiari mi ha portato a fare il nome, per quest’opera, di Iacopo di Michele la cui figura e attività può essere meglio definita e forse, chissà, ritrovata oltre il reliquiario, firmato, del dito di San Tommaso custodito nella chiesa di San Domenico a Bologna.

Note
[1] F. Faranda, I reliquiari di san Cassiano ad Imola e Comacchio, in Divo Cassiano. Il culto del santo martire patrono di Imola, Bressanone e Comacchio, Imola 2004, pp. 263-280.

[2] Il testo è tratto dallo studio di M. Lavarenne, Prudence, Livre des Couronnes IX, Paris 1963, pp. 112-116.

[3] I. Lana, Due capitoli prudenziali. La Biografia, la Cronologia delle opere, la Poetica, Roma 1962. La stesura del carme prudenziano può farsi risalire agli anni 401-404, dopo il ritorno dal viaggio a Roma.

[4] R. Galli, Il Braccio di San Cassiano, in “Il Diario”, 3-10 agosto, 1940.

L’autore
Franco Faranda è direttore storico dell’arte della Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico e Etnoantropologico per le province di Bologna, Ferrara, Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini.

Referenze fotografiche
© Archivio dell’autore.

Ringraziamenti
Si ringrazia l’autore per la gentile concessione e la disponibilità dimostrata.