Lineamenti dell’Arte in Imola.

Lineamenti dell’Arte in Imola

I millenni della preistoria hanno lasciato anche nel territorio imolese ricchezza e varietà di testimo­nianze, come pure i passaggi successivi di varie ci­viltà. Ma il primo periodo felice dell’arte si ha da noi al tempo romano, tra il cromatismo e il geometrismo dei mosaici, nei monumenti sacri e profani, classici e provinciali, secondo la caratteristica di una terra di passaggio, in continuo contatto con varie genti. I barbari lasciano in ricordo i doviziosi gioielli nelle cui pietre si specchiano le prime chiese, eco di un mondo ravennate che ebbe da noi il vescovo Pietro e a noi diede una arte cristiana. Il libero Comune innalza il suo palazzo, da cui oc­chieggiano i rozzi capitelli romanici, e la sua catte­drale, mentre attorno si elevano i palazzi dei conti costretti alla città e dei mercanti.

Croce stazionale del sec XI (Chiesa di Croce Coperta)

Gli ordini monastici fondano centri di cultura e di fede: si alzano le grandi chiese gotiche, di quel gotico sobrio, romagnolo, che non conosce vertica­lismi esagerati e che si impreziosisce negli interni per gli affreschi che i maestri bolognesi vengono a dipingervi, come a S. Maria, a S. Francesco, a S. Do­menico e nella cattedrale. In mezzo ai cori si aprono i libri dei canti con le meravigliose miniature; dagli altari e dai tabernacoli sorridono meste le Madon­nine sui fondo oro: Vitale, Nicolò di Giacomo il mi­niaturista, Lorenzo Veneziano, lasciano ricordi che non si dimenticano. Mentre gli artigiani traggono dal legno i loro Cro­cefissi austeri e si plasticano le statue tragiche delle veristiche Pietà, Giovanni da Riolo, tra il go­tico fiorito e l’Umanesimo, dipinge le sue Madonne gentili, i santi accigliati e gli Apostoli vivacemente affacciati dalle cornicette dorate. Ricca dei suoi in­segnamenti e delle esperienze ferraresi, padovane e forlivesi, si delinea la figura di Antonio di Giovanni Checchi da Imola, detto Guidaccio, già tutto umanesimo, gagliarda, riservata, ancora una volta romagnola. L’averla scoperta è merito recente del prof. Buscaroli.

Lorenzo Veneziano Madonna di Mazzolano, sec. XIV (Pinacoteca Diocesana)

Il Rinascimento sboccia in primavera architetto­nica specialmente con Maestro Giorgio Marchesi da Settignano, che Girolamo Riario trova a lavorare a Forlì presso gli Ordelaffì, e che vuole con sè, idea­tore di un gruppo di opere che fanno di Imola una città particolarmente ricca di monumenti quattro­centeschi e toscani. Forse è con lui che giunge a Imola anche lo scultore Andrea da Fiesole (1465-1526) lasciando opere egregie. Innocenzo Francucci nel 1508 entra alla scuola del Francia in Bologna, già preso dal fascino di Leonardo che forse ha potuto conoscere di persona a Imola. A Fi­renze matura il suo stile caldo e opulento e a Bo­logna tiene scuola. A lui guardano Gaspare Sacchi, Francesco e Barbara Longhi da Ravenna, Prospero Fontana che a Bologna e altrove profonde la versa­tilità del suo estro, e la cui figlia Lavinia a Bo­logna e a Roma si rende celebre per i ritratti. In questo scorcio di ‘500 l’architettura cittadina si arricchisce delle opere ispirate dal Bramante e dai Sangallo.

Innocenzo Francucci Madonna e Santi, XV sec. (Pinacoteca Comunale)

Il Seicento bolognese, così ricco di nomi, si espande fino a noi: il superamento del manierismo attuato dai Carracci, le nuove esperienze svilup­pate dal Reni, dal Guercino, dal Domenichino sono seguite con entusiasmo dal Massari, dal Cavedone, dal Tiarini, dal Garbieri, da Gian Andrea ed Elisa­betta Sirani, da Benedetto e Cesare Gennari (nella scia del Guercino); Bartolomeo Cesi, tutto preso dal culto michelangiolesco, resta un poco in disparte (ma non a Imola), così come il ferrarese Carlo Bonone. Sono tutti nomi che appaiono nelle nostre chiese e nelle nostre raccolte che hanno proprio il pregio di tale specializzazione. Frattanto matura la persona e l’opera di Ercole Marzocchi o Fichi da Toranello. che diventerà celebre architetto anche a Bologna, mentre in pa­tria gli scultori in legno fratelli Giuliani si sbiz­zarriscono nelle volute e nelle foglie di acanto e scolpiscono mosse figure di Crocefissi: tradizione ar­tigiana imolese da non trascurarsi e che troviamo ripetersi per ogni epoca. Un’aria nuova in pittura, che chiameremo supe­ramento dell’Accademia: la intuisce Simone Canta­rmi che fa come da perno tra il vecchio e il nuovo, attorno al quale si muovono Flaminio Torri, il Pasinelli e Gian Giuseppe Dal Sole. Anche Carlo Cignani, che parte dal Guercino, sente questa aria di maggiore libertà, cui si aggrega Marco Antonio Franceschini e il nostro Giuseppe Bartolini, e anche Giuseppe Maria Crespi che troverà però solo in Venezia il suo ambiente.

Affreschi della cappella delle Laudi, sec. XIV (Chiesa dei santi Nicolò e Domenico)

Ma siamo ormai agli inizi del Settecento quando anche Domenico Ferretti figlio di imolesi, porta innanzi questa esperienza appresa dal Dal Sole. Al seguito del card. Gozzadini, intanto, viene in Imola un architetto di Como, Domenico Trifogli, manieroso e corretto; egli alla sua volta chiama il parente Domenico Morella che, con i figli Luigi e specialmente Cosimo, riempie tutto il se­colo di un rinnovamento direi radicale, che trasfor­ma il volto della città e distrugge, purtroppo, oltre alla fama di altri architetti operanti da noi in quel tempo, anche non pochi monumenti antichi. E’ il secolo dei vedutisti e dei quadraturisti. Nei palazzi scaloni e saloni vengono decorati con mae­stria da Alessandro Della Nave, pittore di fiducia di Cosimo Morelli, e da Antonio Villa, associati ai figuristi Angelo Gottarelli e Gia­como Zampa, il forlivese venuto a morire a Tossignano nel 1808. In questa fine del ‘700, nella scia del Tiepolo, insieme con i fratelli bolognesi Ubaldo e Gaetano Gandolfi, troviamo l’imolese Giuseppe Righini.

Palazzo Tozzoni: scalone monumentale

Nella prima metà dell’Ottocento dalla scuola di Cosimo Morelli esce l’architetto Giuseppe Magistretti, cui uniamo i nomi di Luigi Ricciardelli, di Casola Valsenio e di Giovannni Ba­roncini. Alla corrente di ispirazione classica rea­gisce Giuseppe Mengoni di Fontanelice, e si allaccia alla tendenza romantica, che egli però rivive con profonda cultura. Anche Remigio Mirri se­gue tale estrosa esperienza, mentre il padre Pietro si dedica al restauro dei monumenti, come fa quasi esclusivamente l’architetto Luigi Cerrato. Lo scultore Cincinnato Baruzzi, nato nel 1796, viene accolto nello studio del Canova e ne diventa, poi, il continuatore, nell’amore al finito, alla luce dei modelli classici, lasciando una impronta non indifferente, specie nei ritratti. Questa mede­sima tendenza è rappresentata in pittura da Pie­tro Meloni, il pittore della Mensa vescovile e poi pittore onorario dei sacri palazzi, corretto e finissimo disegnatore, e da Giuseppe Manara, copista e ritrattista per conto di Pio. Segue co­storo Ignazio Zotti che si ispirerà in seguito al rinascimento.

E siamo ormai agli ultimi nomi: uno scultore pa­cato, sereno, fuori di molti ismi, è Giuseppe Bettelli, mentre Giuseppe Lazzari e Gioachi­no Meluzzi uniscono al grande amore per il rinascimento, un attento interesse alla semplice e umile realtà francescanamente rivissuta: per mezzo se­colo hanno tenuto scuola avviando moltissimi gio­vani sul cammino della grande arte. Tra i pittori ci sovviene di Quinto Cenni, im­mediato e facile disegnatore, di Lodovico Cremonini, di Giuseppe Mazzoni, col suo croma­tismo ricco e pieno di poesia. E verrebbe da parlare dei viventi. Forze in de­clino, energie che salgono per il duro sentiero del­l’arte, sistematici o irrequieti ricercatori di un lin­guaggio umano. Anche nell’arte Imola è una città viva, che si muove e che sarebbe ingiusto volere già ora fissare nella storia.